PALERMO. Qualcuno di loro li chiama “mamma” e “papà”, qualcun altro “zio” e “zia”. Sta di fatto che i giovani migranti che hanno trovato i propri “tutori”, con il Progetto Apri di Caritas, sono davvero entrati a far parte delle famiglie “accoglienti”. Lo dimostrano le loro parole, pronunciate durante un incontro, ieri pomeriggio, al Centro Agape di Palermo. Giovani e adulti, fianco a fianco. Dopo il primo anno con 50 accoglienze, a luglio si è attivata la seconda annualità con 83 beneficiari (tra singoli e nuclei familiari con figli) aiutati da circa 70 famiglie. A loro si chiede accoglienza in termini di relazione con le persone individuate; non è necessariamente una accoglienza presso la propria casa, intesa in termini logistici, ma della propria casa come luogo di condivisione, interazione e inclusione, in chiave integrativa.
Tra loro, Concetta e Giuseppe che hanno incontrato nel loro percorso di vita Ibrahim e Mustapha. Il primo studia infermieristica all’Università di Palermo e sogna di tornare in Gambia per dare il suo aiuto lì. Il secondo, relazioni internazionali nella facoltà di Scienze politiche. “Questo progetto ci ha facilitato in tante cose – spiega Ibrahim -. Per cominciare il percorso universitario avevamo bisogno di strumenti. E ci ha aiutato“. “Mi interessa come una città o un villaggio si relazionano con un altro – dice Mustapha -. E come si relazionano i Paesi tra loro. Voglio capire come si può migliorare le relazioni e come posso contribuire a farlo”. Entusiasti i loro tutor, Concetta e Giuseppe: “Più che accoglienza è stato un incontro, perché è un’accoglienza reciproca. Grazie a questo progetto vi è una possibilità di crescita, una possibilità che molti non hanno“.
Con il Progetto Apri, anche associazioni e comunità religiose diventano “famiglie accoglienti”
Non solo singole famiglie, ma anche associazioni sono diventate “famiglie accoglienti”. Questo il caso di Ideazione, che ha incontrato Dauda, diplomato da poco. Liboria Ribaudo, responsabile dell’associazione, è uno dei suoi tutor. La comunità religiosa dei missionari comboniani è riuscita con Apri ad accompagnare il giovane Abdulai, musulmano, aprendogli le porte della propria casa al Borgo Vecchio. “Quanto avvenuto è stato per noi un grande motivo di arricchimento reciproco – racconta il fratello comboniano Claudio Parotti -. Abbiamo anche mangiato carne di montone nel giorno del sacrificio di Abramo. Non è per noi una contraddizione. Nel frattempo con il progetto Apri abbiamo aiutato pure a fare conseguire le patenti necessarie a potere portare gli autocarri. Oggi, dopo avere ottenuto questi documenti il giovane è partito per fare il camionista in Nord Italia“.
Una possibilità per i giovani che sognano di diventare ingegneri
Amidou, 21 anni, sogna di studiare ingegneria elettronica, si è appena diplomato. La “madre” tutor è Nadia, arrivata dalle Isole Mauritius, già mamma naturale di tre figli e nonna di sette nipoti: lavora come educatore. “C’era la possibilità del Progetto Apri e ho pensato a lui – dice -. Ci siamo conosciuti quando è entrato in comunità. Da quando era piccolo aggiustava televisioni e oggetti elettronici. Volevo aiutarlo a realizzare le sue aspirazioni, conoscendo le sue capacità. Amidou è un ragazzo timido. Nella sua chiusura c’erano tante richieste. Gli sto vicino come mamma ed educatore. Voglio aiutarlo a scegliere bene. I ragazzi che arrivano qui hanno capacità ma hanno anche bisogno di una guida. Il Progetto Apri ha un valore aggiunto perché come prima cosa dà dignità al ragazzo, con la presa in carico globale della persona“.
Il sogno di Amidou è simile a quello di Patrick, 24 anni, giunto a Palermo dal Madagascar, che studia ingegneria gestionale. “Questo progetto mi ha permesso di conoscere persone nuove. Vorrei che mi aiutasse a crescere“. Aju ha lasciato il Marocco da piccolo. Oggi è in Italia da 14 anni e studia ingegneria nucleare. “Questo progetto una boccata d’aria – dice –. Mi ha aiutato con l’ingresso all’università. Avevo bisogno di un pc per fare due materie. Così ce l’ho fatta. Adesso sto prendendo la patente. Mi erano state offerte due possibilità di lavoro estivo ma non ce l’avevo e ho dovuto rinunciare“. Nelle sue parole la consapevolezza che l’incontro con “zia” Marianna gli ha cambiato la vita. “Oggi non sarei qui“, dice.
Famiglie che accolgono altre famiglie
Maria Grazia e la sorella Adriana sono tutori di tre bambine. E, in realtà, hanno accolto tutta la loro famiglia. “Mi occupo dei bisogni quotidiani, delle iscrizioni a scuola – racconta -. Le bimbe dormono da noi. Condividiamo la quotidianità. La nostra è una famiglia allargata. Vogliamo non fare mancare loro nulla“. Djamina, la mamma, è arrivata in Italia 12 anni fa. “È stato difficile. Caritas mi ha aiutato con la casa. E anche questo progetto mi sta aiutando a dare una vita migliore ai miei figli“.
Valeria ha accolto per sei mesi a casa propria una famiglia nascente e, in particolare, Dzhena, una giovane donna giunta in Italia dal Gambia 4 anni fa. Oggi, ne culla il bimbo di sette mesi come una nonna. “Dopo che ho lasciato la comunità, ho trovato Valeria che mi ha aiutato quando ero incinta – ricorda la ragazza -, era difficile per me. Lei mi ha aiutato in tutto, dalla gravidanza e alla nascita del bambino. Mi ha trovato una casa dove vivo con mio marito, anche i mobili. Ogni giorno, mi aiuta. È una mamma per me. Mi compra il cibo per i bambini“. “Col Progetto Apri – aggiunge Valeria – abbiamo trovato un corso di saldatore per il marito di Dzhena in modo che possa trovare un lavoro. Si spera che possa essere assunto da Fincantieri. Sta frequentando anche i corsi per primo soccorso e per l’antincendio. Vorrei che loro andassero avanti“.