PALERMO – Non c’è solo bisogno di cibo, acqua, bevande calde, coperte e vestiti ma di tanto altro. A dirlo sono i volontari dell’Unità di Strada dell’associazione LeAli e di Our voice con cui, ieri sera, ho condiviso il loro servizio alle persone senza dimora. Il martedì, tra le altre cose, preparano 85 pasti per coloro che vivono in strada, in sistemazioni precarie o alloggi di fortuna. Lo fanno ogni settimana, ma stavolta il loro servizio assume anche un valore particolare, nella Settimana Santa, in attesa della Pasqua. Al centro del loro aiuto, c’è sempre la relazione di ascolto di chi ha storie di forte sofferenza; oltre al cibo – e stavolta le uova di Pasqua -, infatti, ci si scambia parole di conforto, sorrisi, strette di mano, carezze e abbracci. Il cibo o la coperta, spesso, sono degli strumenti che, a poco a poco, permettono, di entrare nel mondo di chi è invisibile e fragile per capire come sostenerlo e aiutarlo.
Iniziamo dal sottopasso della metropolitana davanti al Palazzo di Normanni dove ci sono quattro persone. Parliamo con Marcello e Giuseppe, due uomini di mezza età. Marcello ha problemi con l’alcol. “Grazie per esserci – dice -. Non so se nella mia vita mi aspetterà qualcosa di meglio. Ci spero”. Le persone che, spesso, rimangono in strada fuori dalla rete dei dormitori sono quelle che hanno forti dipendenze da alcol, droghe e problemi di salute mentale. Tra loro ci sono pure coloro che vorrebbero entrare nei centri ma, avendo cani a seguito, non vogliono separarsi da loro. A due passi dalla Cattedrale, ci vengono incontro tante persone, ognuna con bisogni diversi. Ad Agnese, una mamma di cinque figli che vive in un dormitorio, le si danno delle uova di pasqua che darà ai suoi cinque figli che si trovano in case famiglie. “Purtroppo sono stata coinvolta in situazioni brutte a causa di altre persone – dice Agnese -. Spero di potere riavere con me i miei figli”. Rosalia è una donna minuta e molto magra. “Non ho ancora superato la perdita del mio compagno – racconta con le lacrime agli occhi -. Vivo in una casa vecchia che ho ‘scassato’ occupandola. Ho due cani che mi danno compagnia e conforto. Grazie di quello che fate per tutti noi”. Dragomir e Tudor sono, invece, una coppia di alcolisti romeni di 64 e 74 anni. Ci accolgono con gentilezza e gratitudine. Dragomir, il più giovane, dai lunghi capelli bianchi, sembra un pittore uscito fuori da un quadro. A Piazzetta della Pace, dentro una macchina abbandonata, in una situazione di notevole degrado, incontriamo Giuseppe di 63 anni che, nonostante la poca lucidità per l’alcol riconosce e ringrazia tutti. Sotto i portici della Camera di Commercio ci sono alcuni giovani con a seguito due cani. “Viviamo in strada da 1 mese – racconta Dario di 35 anni – perchè abbiamo gli animali”. Alla regione, è stato presentata una proposta di legge per avere una struttura per senza dimora che hanno cani. “Da 25 anni sono in giro per l’Italia. Sono riuscito a disintossicarmi dalle droghe – dice Pavel di 40 anni -. Adesso sto in piedi ma domani non so quello che mi potrà accadere”. Pavel chiede una cintura e un volontario gli dà la sua, sfilandosela dai pantaloni. Nella villetta di Piazza XIII Vittime, c’è Lucia di 55 anni, una donna tunisina. “Vivo in una casa occupata – racconta . Ho perso il lavoro con la pandemia e oggi riesco solo a fare piccoli lavoretti di poche ore. Ho un dente spezzato, portatemi da un dentista”. C’è pure il giovane Alessandro di 26 anni che, forse sotto l’effetto di sostanze, riesce a regalarci solo un bel sorriso. A piazza Kalsa, invece, i due giovani tunisini Haitem e Billel chiedono di volere entrare in un dormitorio. “E’ dura vivere in strada, vogliamo entrare in una struttura”.
“La cosa più importante per loro – aggiunge il volontario Lorenzo Capretta, marchigiano di Our Voice che, da 6 mesi collabora per gli aspetti sanitari con LeAli – è quella di essere riconosciute come persone”. “In strada, raccogliamo sofferenza, dolore, rabbia; ci sono situazioni ormai croniche ma, fortunatamente, non sono tutte così – afferma Maddalena Rotolo di LeAli -. Già quest’anno, purtroppo, sono morte in strada circa 8 persone. Piano piano, però, ne ho visti anche tante reagire, lasciare la strada, riprendere a lavorare, accettare di vivere in strutture. Alcune ancora ci chiamano perchè, non dimenticano l’aiuto ricevuto. Tutto questo, ci dona la speranza che, insieme alla fede, è la forza che ci spinge a continuare il nostro servizio”.