PALERMO. Quarantacinque 45 minuti per sensibilizzare sulle drammatiche condizioni vissute dai migranti e raccontare storie di accoglienza e possibilità di riscatto. Ecco “Nuovo Mondo: storie di migranti e di persone che li hanno accolti”, il docufilm presentato nell’elegante location di Villa Zito a Palermo, in anteprima nazionale, nell’ambito della Settimana delle Culture.
Un lavoro prodotto dalle associazioni “Prima gli ultimi. Nessuno è straniero”,”Di Sana Pianta” e “Le Donne Musulmane Fatima”, con il supporto del Cesvop.
“Questo film racconta – dice l’autore Rino Canzoneri, che è anche presidente di Prima Gli Ultimi. Nessuno è straniero – la parte bella che avviene nel mondo dei migranti, ovvero quella dell’accoglienza. Ho visto durante la mia esperienza di tutore di minori stranieri, mentore e famiglia di appoggio che se da una parte c’è tanta indifferenza verso questo fenomeno, dall’altra ci sono parecchie persone pronte ad accogliere e sostenere il percorso di integrazione dei migranti, creando legami forti quanto quelli di sangue. Nel docufilm ho quindi voluto mettere in risalto anche questa realtà e tutto il bene che viene dall’incontro con le persone”.
Parlare di migranti è purtroppo ormai associato anche alla gestione di numeri, un qualcosa di asettico che non racconta chi siano veramente queste persone, viste più come invasori che come esseri umani. Le immagini del docufilm colpiscono proprio per l’alternarsi di due realtà: quella cruda e sofferta degli sbarchi e quella positiva dell’accoglienza, che inevitabilmente finisce poi anche per arricchire la vita di chi si occupa di loro. Tante le storie raccontate: da famiglie spezzate e poi riunite a legami indissolubili creatisi tra i migranti e chi, avendo dato loro una mano, li ha aiutati ad integrarsi nel nostro Paese.
“Quando riprendevo gli sbarchi durante i miei lavori precedenti – aggiunge il regista Rosario Neri – riuscivo a filmare solo la paura e lo smarrimento negli occhi di questi ragazzi. Non li ho mai sentiti parlare, li vedevo spostarsi di qua o di là, su indicazione della Polizia o della Guardia costiera. Attraverso la realizzazione di questo docufilm, finalmente ho potuto sentire la loro voce. Non ho visto più in loro gli sguardi di paura e sgomento, ma la fiducia nel futuro per avere accanto qualcuno che lo aiutava nel percorso di integrazione che stava facendo”.
Alla proiezione del docufilm è seguito un dibattito moderato dal giornalista Vittorio Corradino. Tra i principali argomenti trattati dei traumi, sia psichici che fisici, che hanno subito questi ragazzi sia nei Paesi di origine che nel corso del loro viaggio. Danni anche gravi per parecchi di loro che persistono ancora adesso e che necessitano di cure specifiche non sempre disponibili.
“Molte delle persone che arrivano in Italia hanno subito violenze inenarrabili – ha detto Patrizia Politi, coordinatrice medica a Palermo di Medici senza frontiere -, violenze estreme che spesso non vengono raccontate. Tutto questo lascia dei segni sul corpo e nell’anima. È importante che ci sia sensibilizzazione sull’argomento, dobbiamo aiutare queste persone a guarire fisicamente ma non solo, reinstaurare la loro fiducia nel futuro e nelle persone. Ora sono visti come problemi e numeri, ma questi sono esseri umani che fanno parte della nostra società. Il 10% della popolazione italiana oggi è di origine straniera. Ce ne dobbiamo fare una ragione e occuparci anche di loro. Bisogna inoltre ricordare che queste storie non finiscono tutte bene, ovvero con il salvataggio. Molti muoiono. E lasciano traumi e ricordi tremendi in chi ha perso un fratello, una mamma, un figlio, un parente, un caro amico”.
”Dopo aver visto questo film – dice il Garante per i detenuti della provincia di Palermo, Pino Apprendi – avverto un forte contrasto: da un lato vediamo le immagini di questi migranti che arrivano con i gommoni, dall’altro le cose positive che vengono fuori dall’aiuto del volontariato verso queste persone”. “Ho visitato tutte le carceri siciliane. In esse abbiamo 17.500 detenuti stranieri e quelli che stanno peggio sono proprio i migranti. Per loro il carcere è un autentico inferno. I detenuti siciliani hanno quasi sempre il supporto delle famiglie vicine, gli immigrati no, sono soli, disperati senza nessuno che gli dà una parola di conforto. Mi viene spesso detto di fregarmene, ma io non riesco. La cosa peggiore è quella poi del pregiudizio a priori verso queste persone, che spesso sono condannate ingiustamente anche all’ergastolo”.
“Il problema è stato quando sono arrivato qui, perché in viaggio non ho sentito subito la sofferenza delle violenze subite anche nelle prigioni libiche – racconta Mohammed, uno dei ragazzi protagonisti del docufilm -, ma una volta arrivato in Sicilia i ricordi sono tornati con violenza facendomi stare molto male, sino al punto di ricorrere alle cure di un psicologo. Sono dolori e traumi che segnano a vita. Ora se sono qui e posso studiare all’università è grazie a persone che mi hanno sostenuto psicologicamente ed economicamente. Palermo è stata accogliente e ci sono tante persone che hanno voglia di aiutare. È grazie ad esse che aiutano nelle piccole cose che si fa la differenza, non alle politiche di inclusione che non ci sono”.