Chi non ha una casa trova un alloggio. Chi è solo trova qualcuno che lo pensi e lo accompagni nel ritorno a una vita ordinaria. Tante persone senza tetto hanno trovato un aiuto prezioso grazie al Progetto Dimora, finanziato dal Comune di Palermo con fondi europei nell’ambito del Pon Metro. Quattro gli enti del Terzo Settore pertner nella gestione di tre strutture. Sono l’Opera Don Calabria, soggetto capofila, che gestisce il polo di Casa San Francesco, il Centro diaconale La Noce, cui è stato affidato il Centro Agape, e la cooperativa La Panormitana, braccio operativo della Caritas di Palermo, che gestisce l’accoglienza nel Cento San Carlo. La Croce Rossa italiana si occupa dell’unità di strada. I volontari della sezione di Palermo di notte rintracciano i senza dimora per strada e offrono loro aiuti, cibo e non solo. Il quarto polo è nato in piena emergenza sanitaria durante il lockdown, per far fronte all’aumento di richieste di aiuto a causa dell’impoverimento della popolazione. Si tratta della Domus Carmelitana, gestita da tutti i partner, che operano in sinergia. Oggi le quattro strutture accolgono circa settanta persone.
L’accesso ai poli del progetto Dimora
Il primo passo è l’ascolto delle persone che hanno bisogno di aiuto. I colloqui vengono svolti dal Servizio sociale del Comune di Palermo. Segue la valutazione congiunta di alcuni operatori, del coordinatore del progetto e del referente del Comune. Così, se davvero necessario, alle persone bisognose viene proposto l’inserimento in uno dei quattro poli. L’altro canale di accesso è l’unità di strada, che propone la soluzione dell’accoglienza nei poli ai poveri incontrati per strada. “Questo progetto dimostra l’importanza della collaborazione tra pubblico e privato. Si tratta di un’azione integrata”, spiega la direttrice del Centro diaconale La Noce, Anna Ponente. Ma chi può beneficiare di questo servizio? Chi non ha una condizione abitativa, chi vive in condizione di estrema povertà e non ha il requisito minimo fondamentale, quello della casa. L’emergenza sanitaria ha portato ad adottere nei poli un protocollo anticontagio. Dopo che i senza dimora, in lista di attesa, hanno svolto il colloquio preliminare per l’accesso, si sottopongono a un triage sanitario, a partire dal tampone. E qui entra in azione anche l’Asp, che permette di monitorare l’ingresso ma anche di effettuare un monitoraggio della situazione sanitaria nelle strutture in maniera costante. Gli ospiti tengono sempre la mascherina nelle strutture perché hanno anche relazioni sociali all’esterno.
La vita quotidiana nei poli
Dopo il via libera all’inserimento, gli operatori realizzano un colloquio di accoglienza con i nuovi ospiti, cui viene offerto anche supporto psicologico e legale. “Da un’osservazione attenta delle tipologie delle situazioni che sono pervenute ai vari poli, abbiamo riscontrato la necessità di far partecipare una psicologa alla prima fase di valutazione e anche nell’inserimento”. Anzitutto, nei poli le persone accolte hanno un contesto regolare di vita, uno spazio dove possono vedere soddisfatti i loro bisogni primari, come l’igiene e la cura personale, l’alimentazione, uno spazio serale dove potere dormire. I pasti sono forniti da Cotti in Fragranza. Non si svolge tutto dentro le strutture. Gli ospiti hanno una vita autonoma al di fuori. All’interno dei poli, invece, ciascun ospite ha un piano individualizzato: qualcuno ha ripreso a studiare, qualcun altro va fuori a cercare lavoro. E poi tutti si impegnano in diverse tipologie di laboratori, come giardinaggio e manufatti, in base ai loro interessi personali.
La realtà del Centro Agape
Tra gli ospiti del Centro Agape, tanti stranieri neo maggiorenni, usciti dal circuito dell’accoglienza in seguito ai decreti Sicurezza. Ma anche alcuni palermitani caduti in povertà. Molti di loro hanno bisogno di aiuto soprattutto nel disbrigo delle pratiche burocratiche. “Gli ospiti trovano persone che si prendono cura di loro. Il primo aspetto è quello di ridare loro fiducia”, spiega Anna Ponente che racconta un episodio: “Una persona è stata ricoverata. L’equipe le ha fatto avere dei pigiami e questa persone ha detto che non si sentiva più sola. Ha riconosciuto che dietro quel gesto c’era un pensiero, c’erano persone che la pensavano ed erano preoccupate per lei”. Antonella Spina, operatrice referente del Centro Agape, da tanti anni si occupa di servizi sociali. E spiega: “Aiutiamo le persone anche a compilare un documento perché a volte non sono più in grado di farlo da sole. Ci sediamo accanto. E le seguiamo. Le aiutiamo anche nell’economia domestica. A volte non sanno più gestire il loro denaro”.
Dall’economia domestica alle cure sanitarie
Ciascun ospite segue alcune attività, in funzione di obiettivi specifici da raggiungere. “Ci fermiamo a capire quali siano per loro gli obiettivi raggiungibili, a partire dalla documentazione – spiega Antonella Spina -. Prepariamo i piani in funzione dei loro interessi, che vanno dalla fotografia alla musica. Svolgiamo anche laboratori creativi con oggetti riciclati. E poi ci curiamo degli aspetti sanitari”. “Molte persone non si curavano da un punto di vista medico-sanitario – racconta Anna Ponente -. Adesso, essendo seguite dagli operatori, stanno facendo tanti esami. Sono motivate a farlo. Si curano i denti. In un contesto come questo, seguite da un’equipe specialistica, le persone possono ricominciare a occuparsi di se stesse. Sia da un punto di vista sanitario sia da un punto di vista burocratico e di documenti o anche della formazione”.
Il raggiungimento dell’autonomia abitativa
Una delle difficoltà maggiori è quella di trovare una casa da poter affittare. Ciò si verifica quando gli utenti sono pronti a lasciare i poli, avendo trovato un lavoro o essendo tornati autosufficienti. Gli operatori accompagnano gli ospiti anche in questa fase. Cercano di creare un ponte. Lo fanno curando il rapporto sia con loro sia con i proprietari delle abitazioni individuate. “Spesso purtroppo si verificano forme di discriminazione verso queste persone che vogliono affittare casa, sia italiane sia straniere – evidenzia Anna Ponente -. Quindi, la mediazione degli operatori è importante. Cerchiamo anche di mettere da parte soldi come garanzia per i proprietari”. A questo passaggio lavora un’altra operatrice, Gloria Zuccaro. “A volte i proprietari delle case non conoscono determinate garanzie e neppure lo strumento del reddito di cittadinanza – riferisce -. Mentre i nostri ospiti tornano a cercarci. Perché qui sono stati bene e sentono la nostra mancanza. Noi continuiamo ad aiutarli nelle pratiche di vita quotidiana. In questo caso a mettere su casa, dalle coperte ai piatti”. L’accompagnamento dura almeno per sei-otto mesi dopo la dimissione. “Ho provato una grande gioia quando un ex ospite mi ha mandato la foto delle sue chiavi di casa – racconta -. Ma anche quando sono andata a trovare altre persone che abbiamo aiutato e mi hanno mostrato come hanno arredato la loro casa. Parlavano di progetti di vita per il futuro. Quando erano venuti da noi, parlavano solo di passato”. “Interrompere l’opportunità di aiutare queste persone sarebbe un grave errore etico e anche da un punto di vista dei diritti – chiosa Anna Ponente -. Si tratta di un servizio che garantisce il diritto a una vita dignitosa a esseri umani”.