PALERMO – Il carcere continua ad essere un luogo di sofferenza per i tanti problemi che ci sono: il dramma della salute mentale, il mancato diritto alla salute, lo scarso numero delle comunità alternative al carcere, la polizia penitenziaria sottodimensionata rispetto ai bisogni e il numero insufficiente di personale. A dirlo è Pino Apprendi, garante delle persone detenute del Comune di Palermo, da anni impegnato su questo tema.
Partiamo dal problema della salute mentale di persone che non dovrebbero stare in carcere?
Si tratta di un dramma enorme perchè dovrebbero essere accolte nelle Rems. In Sicilia ne abbiamo solo due e siamo da tempo in attesa di una terza struttura. Lo Stato ha il dovere di rispondere a queste persone inserendole in queste comunità. Nel momento in cui non lo fa viola la legge.
Continua ad essere disatteso il diritto alla salute?
Si continua a morire di carcere perchè le visite specialistiche per chi ha patologie sono troppo poche e lontane nel tempo. Purtroppo, si muore di tumori, di infarto, di diabete e di tanto altro. Una persona che doveva fare un intervento urgente di cataratta ad un occhio, dopo otto mesi dal mancato intervento, ha perso un occhio.
Cosa si può fare?
Mi sto facendo promotore di un tavolo tecnico all’Asp con i direttori sanitari di Ucciardone e Pagliarelli per capire come intervenire. Spero a settembre di fare l‘incontro con la commissione sanità dell’Ars per iniziare a lavorare alla creazione di un dipartimento della sanità penitenziaria che già in alcune regioni esiste. Su questa realtà bisognerebbe avere un interesse politico trasversale per il bene di tutta la società.
Il personale non è numericamente adeguato rispetto al numero delle persone detenute?
Purtroppo sì. Mancano, per esempio, i mediatori culturali per le persone straniere e sono pochi pure i psicologi ed educatori se pensiamo alle 1400 persone del Pagliarelli. Ricordiamoci che gli ultimi fra gli ultimi sono i migranti che sono soli e hanno bisogno di tutto. Il mio apprezzamento va, comunque, a tutte le persone che. a vario titolo. si impegnano ogni giorno nelle carceri.
C’è anche una notevole carenza di personale di polizia penitenziaria?
La polizia penitenziaria nella maggior parte dei casi cerca di fare il proprio lavoro nonostante sia un servizio particolarmente stressante e logorante. Da gennaio a ora, si sono avuti 7 suicidi ed è un numero altissimo rispetto al resto delle forze dell’ordine. Queste sono sotto organico ma anche sottodimensionate rispetto ai bisogni. Bisogna incrementare le unità con una formazione adeguata che non sia solo di tipo repressivo.
Il sovraffollamento nelle carceri come si fronteggia?
Il carcere Pagliarelli ha il 15% di sovraffollamento. E’ un problema nazionale esteso per altre realtà. Non abbiamo bisogno di nuovi carceri. Occorre incentivare la creazione di comunità alternative alla detenzione carceraria e poi, in relazione al tipo di reato, bisogna pensare ad altre misure alternative. Se un giovane viene subito portato nel carcere per adulti di Pagliarelli, ha un rischio fortissimo di perdersi. Bisognerebbe dargli invece opportunità diverse declinate in chiave educativa. Dobbiamo uscire dalla logica del “buttare la chiave” perchè la persona detenuta non può essere lasciata sola ad incattivirsi sempre di più. Ogni possibilità che daremo alla persona detenuta di dare una svolta alla sua vita, andrà a beneficio di tutta la società.
Mancano i progetti di reinserimento sociale?
Una persona detenuta mi ha detto “io appena esco cosa faccio, dove vado non ho casa, sono solo e non ho nessuno”. Questo è il dramma forte di molte persone che andrebbe affrontato già quando stanno per completare la pena.
Le associazioni del terzo settore possono dare un contributo importante?
Sì, queste possono fare dei progetti molto significativi se sostenuti economicamente anche dallo Stato. Un plauso va pure alle associazioni di volontariato per il supporto e le diverse risposte che danno ai bisogni delle persone detenute.