PALERMO. “Nomen Omen” è il suo primo romanzo. Stefania Calà lo ha presentato lo scorso 2 gennaio, dialogando con Fedele Bucalo, nella sala della Biblioteca sociale del Cesvop, ospiti di Valeria Perricone. Presenti, tra gli altri, la psicologa e psicoterapeuta Azzurra Tramonti, l’avvocato penalista Tiziana Pantina e la psicologa Ivana Pizzo, operatrici del Centro Antiviolenza Lia Pipitone, con il quale l’autrice, da sempre impegnata contro la violenza di genere, collabora. Presenti anche gli amici con i quali condivide la grande passione per la lettura e la giovanissima Giorgia Scattareggia, l’illustratrice che ha realizzato la copertina del romanzo.
Stefania Calà ha cominciato durante le lunghe giornate della pandemia a pensare ai ‘suoi’ personaggi, alla loro vita e alla loro interiorità. A partire dall’anno scorso ciascuno di essi, nelle pagine del romanzo, ha trovato il proprio luogo narrativo.
La penna di Stefania ha così tracciato il profilo della protagonista. Emma, una giornalista romana, che accompagna dapprima il lettore per le strade della Capitale, per i suoi mercati e i suoi vicoli, descritti così minuziosamente che par sentirne le voci di chi li affolla e vederne i colori, quasi ad entrare nelle tre dimensioni del reale; e poi per le stanze della redazione. Qui, tra pagine di giornali e rumori di stampanti, in un plico anonimo il diario di Laura costretta a soli tredici anni per volontà dei genitori a vivere in un collegio del Nord Italia.
La vita delle due donne si intreccia. È Emma che a distanza di trenta anni deve cercare la verità, quella stessa verità che possa dare senso alla vita di Laura, abusata e lacerata durante l’adolescenza. “Come isole ma in un arcipelago, così le vite delle due donne diventano i fili della trama e ad esse, già intrecciati, si riannodano anche quelle degli altri personaggi”.
Ognuno di quelli che appare tra le pagine di Nomen Omen contribuisce ad ampliare i paesaggi umani interiori. “In queste pagine – scrive nella premessa Fedele Bucalo – vivono personaggi autentici, reali complessi, a volte intimamente disperati, dietro le loro tranquille routine. Il lettore inizierà a leggere il giallo, rendendosi subito conto che tra le mani ha un romanzo psicologico, i cui protagonisti vivono le loro vicende intersecandole con quelle degli altri in una sorta di catena narrativa fatta di anelli concentrici”.
Il romanzo, nelle sue coordinate geografiche, geografia dei luoghi ma soprattutto delle anime, si sviluppa – così Bucalo – “lungo linee direttrici narrative diverse e anche complementari. Più si va avanti e più ci si rende conto che l ‘approssimarsi alla verità comincia progressivamente a diventare evanescente che le verità prima quasi sottintese sfumano. Allora la dimensione narrativa diviene ancora più profonda e ci si trova di fronte a una riflessione sull’effettiva conoscibilità del reale. Il romanzo prima giallo, poi psicologico, diviene in ultimo un romanzo filosofico, incentrato sull’uomo, sulla sua interiorità lacerata e sui valori dell’amicizia e della lealtà che riempiono di senso la vicenda umana”.
La complessità narrativa rende conto della complessità della vita di ciascuno di noi nel mondo, rende conto della complessità del mondo stesso, delle sue differenze e dei suoi imprevedibili corsi.
“Le tinte sono diverse – aggiunge Stefania – dal giallo al rosa, con striature di grigio e qualche punta di nero, perché in una storia possono starci dentro tante sfumature senza bisogno di utilizzare per forza etichette. Nomen Omen è un romanzo a colori, che vi racconterà anche un’amicizia profonda e imperfetta, utilizzando il linguaggio dell’ironia e alternando momenti di leggerezza a momenti di riflessione”.
Il romanzo così, autoprodotto e autopubblicato, fuori dalle regole di un’editoria sempre più piegata alle esigenze commerciali, ha la pretesa di avere un solo destinatario: il suo lettore, con il quale l’autrice, in ultimo, vuole condividere una riflessione. Le differenze che compongono la nostra complessità non sono soltanto ostacoli, non sono soltanto imprevisti. Essi sono risorsa, perché, come dice la stessa Emma, “non è forse nelle differenze che si incastra la perfezione?”.