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domenica, 20 Aprile 2025
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“Se l’uomo non immagina, si spegne”: Giacomazzi e Di Ganci portano in scena Danilo Dolci

"Decameron Dolci - Racconti di ex poveri cristi" ha debuttato in prima nazionale, venerdì 8 aprile, nella Sala Strehler del Teatro Biondo di Palermo: “un atto unico per corpi e voci”, nel quale gioca un ruolo importante il coinvolgimento del pubblico

Alessia Rotolo
Alessia Rotolo
Ama Palermo e il centro storico, i tre mercati, i quattro mandamenti, il Genio e la Santuzza. Segue con passione i processi partecipativi di riqualifica della città nati dal basso che stanno pian piano cambiando il volto di Palermo rendendola sempre più affascinante. Scoprire storie e raccontarle è la sua migliore capacità dettata da una passione incessante per il mestiere di giornalista
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PALERMO. Poeta, intellettuale, pacifista, pedagogo triestino al fianco degli ultimi nella Sicilia degli anni ’50 del secolo scorso, la figura di Danilo Dolci, limpida e indomabile, sfugge a qualsiasi tentativo di classificazione: a lui è dedicato lo spettacolo “Decameron Dolci – Racconti di ex poveri cristi” che ha debuttato in prima nazionale, venerdì 8 aprile nella Sala Strehler del Teatro Biondo di Palermo, che lo produce insieme a Teatri Alchemici. Repliche fino a 10 aprile.
Autori e protagonisti dello spettacolo sono Ugo Giacomazzi e Luigi Di Gangi, che firmano la regia e la drammaturgia di questa originale messa in scena definita “un atto unico per corpi e voci”, nel quale gioca un ruolo importante il coinvolgimento del pubblico.

«All’inizio pensavamo di portare in scena qualcosa sulla vita di San Francesco – racconta Ugo Giacomazzi – poi parlando con Pamela Villoresi abbiamo deciso di spostare l’attenzione su quello che fu il San Francesco siciliano: Danilo Dolci. Quando fece lo sciopero della fame aveva 28 anni, la sua è una figura senza tempo, senza età, viveva anche lui in povertà come i francescani, aveva addosso sempre abiti lisi».

Danilo Dolci si trasferisce nel 1952 in Sicilia dove promuove lotte non violente contro la mafia e il sottosviluppo, per i diritti dei contadini, dei pescatori, dei disoccupati. Il suo attivismo gli valse due candidature a premio Nobel per la pace e il riconoscimento a livello internazionale del suo operare. Sempre in quegli anni con i contadini progetta e realizza una radio clandestina, un asilo, una diga, l’università popolare insieme a tanti progetti culturali.

«A quei tempi le sue azioni ebbero una eco internazionale – continua Giacomazzi – aveva come amici intellettuali importanti come Carlo Levi, Piero Calamandrei, Sartre, Russell, Aldo Capitini, Elio Vittorini, Lombardo Radice. Eppure oggi la sua è una figura quasi del tutto dimenticata, questo credo sia sintomo dei nostri tempi, anche a Partinico in troppi non sanno chi sia stato».

Ugo Giacomazzi e Luigi Di Gangi

Attori e pubblico, in questo esperimento di “autoanalisi teatral-popolare”, lavorano insieme alla costruzione di un atto poetico cangiante, da offrire al mondo come riflessione e dibattito.

«Noi – aggiunge – diamo corpo e voce non a lui ma a questi poveri cristi a cui lui ha dato voce, alle sue denunce sulla Sicilia dimenticata dopo il terremoto del Belice, a Cortile Cascino, per lo Stato era meglio far vivere le persone nella miseria. Per Danilo Dolci l’educazione era tutto. Con “Decameron Dolci” vorremmo recuperare il patrimonio culturale e i principi che animavano le sue battaglie e il suo impegno civile, fondato sul modello educativo della “maieutica reciproca”».

Il risultato, nelle intenzioni degli autori, vuole essere un flusso di coscienza che possa offrire un’occasione per vivere la realtà che ci circonda, oggi più problematica che mai sotto tutti i punti di vista, con maggiore consapevolezza, usando lo strumento delle parole – che per Danilo Dolci erano sangue che scorreva nelle vene, erano strade, carezze ed emozioni – da un luogo privilegiato quale è il palcoscenico di un teatro, sul quale i due attori, guardandosi negli occhi, generando conflitti e raccontando di miseria faranno “uso dell’esperienza”.

«In questo spettacolo c’è tanta miseria, che era quella che lui voleva far emergere ma c’è anche tanta poesia. Unico elemento scenico è la Luna, così importante per lui e per tutti i poeti, la luna offre la sua bellezza a tutti. In questo spettacolo non c’è un testo fisso che recitiamo, ci siamo dati dei paletti che sono dei temi da trattare abbiamo cercato di restituire il suo messaggio, la metodologia, la sua poesia, era un visionario folle, un sognatore a occhi aperti. Lo spettacolo finisce e la nostra speranza è quella che quest’uomo che ha seminato tanta bellezza attorno a sé non venga dimenticato ma che torni ad essere un seme per fare germogliare uomini migliori».

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