PALERMO. “Palermo è una schiava che cerca un padrone sul quale regnare”. Così Ruggero Cappuccio apre “Capolavoro d’amore”, il suo ultimo libro edito da Feltrinelli e presentato in città assieme a Roberto Andò al bistrot del Rouge et Noir. Con il Teatro Massimo da cornice, lo scrittore e drammaturgo ha illustrato al suo pubblico la trama e i capisaldi di “Capolavoro d’amore” e di come a volte alcune cose vengano rubate, prima fra tutte la verità. Lo scrittore campano, profondamente legato alla Sicilia, realizza un romanzo che vede protagonista Manfredi, un uomo che dopo anni torna nella sua terra sicula con cui ha un rapporto tormentato. A volere che lui faccia ritorno è lo zio Rolando in seguito all’abbandono delle scene di un noto pianista. Una storia di ricordi e Cappuccio affronta il tema del cosiddetto “appuntamento con la perdita”. Lo zio volge uno sguardo nostalgico al passato e come Manfredi lotta contro i suoi fantasmi per liberarsene. La loro inquietudine si intreccia al mistero irrisolto palermitano della Natività di Caravaggio, rubata dall’Oratorio di San Lorenzo nell’ottobre del 1969.
L’appuntamento con la perdita
“La nostra nazione per assenza di cura si è sempre fatta rubare le cose preziose – spiega l’autore -. È il punto dell’opera, l’essere umano ha tendenzialmente un appuntamento con la perdita. Gli individui perdono molte cose, le nazioni perdono molte cose. Ma possiamo fare qualcosa affinché la perdita si converta in un prezioso congegno di rilancio”.
Il Caravaggio sottratto è il fulcro di tutta la narrazione e unisce tutte le vite dei personaggi presenti nel romanzo. Non ci sono i proprietari o gli acquirenti, ma soltanto persone coinvolte spiritualmente nella faccenda di cui non si sa nulla. Secondo Cappuccio, “noi siamo diventati dei collaboratori nel farci rubare le cose e saremmo pure in grado di preparare una cena ai ladri, spalancandogli le porte“. L’opera si trovava dietro una serratura a due mandate senza un antifurto.
La città di Palermo nasconde e conserva. Manfredi dovrà fare i conti con i fantasmi del passato, come la sua amata Flavia che da un momento all’altro lo abbandona. Ed è da quel momento che il protagonista decide di lasciare la Sicilia.
Ruggero Cappuccio racconta di una Palermo decadente
“Palermo è spaventata dalla sua guarigione, è un’isterica. Ama solo la sua sofferenza”. Così Cappuccio descrive Palermo. Questo romanzo racconta di un viaggio introspettivo alla ricerca di una meta agognata e a tratti irraggiungibile. Il capoluogo siciliano ha una luce diversa: è decadente, ammantata da un velo di mistero a cui non si sa ancora oggi dare risposte. Un altro aspetto su cui lo scrittore campano si sofferma è la bellezza della trasmissione ereditaria che non riguarda unicamente il colore degli occhi o le malattie, ma anche schemi di pensiero e materiale onirico. “Molti sogni che facciamo sono frutto della nostra regia personale e di detriti che provengono da vite precedenti. Conoscere il passato vuole dire capire qual è la nostra vera voce. Accade che quando compiamo un’azione, siamo doppiati dalla volontà dei nostri genitori o dei nonni. Ma è fondamentale comprendere chi siamo realmente”.