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mercoledì, 5 Marzo 2025
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Hiv, da Palermo uno studio: le mamme positive possono allattare i figli

La conferma arriva un’analisi condotta dal reparto di Malattie infettive dell'ospedale Civico di Palermo. Durante la cura con terapia anti retrovirale non trasmettono il virus al figlio

Alice Marchese
Alice Marchese
Classe 1998, giornalista pubblicista, laureata in Scienze Politiche e delle Relazioni Internazionali. Racconta storie di giovani migranti, donne e progetti che vedono protagonista la Sicilia e non solo. Scrive anche per altre testate online
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PALERMO. “Attraverso questo studio osservazionale, si sfatano i pregiudizi sul non poter allattare i propri figli se affette da Hiv”. A confermarlo è Tullio Prestileo, medico dell’Unità operativa malattie infettive dell’ospedale Civico e presidente dell’Anlaids Sicilia. Assieme al contributo dei medici Adriana Sanfilippo, Lorenza Di Marco e Antonina Argo, è stato elaborato uno studio retrospettivo condotto su 13 pazienti che hanno contratto l’Hiv. Sarà pubblicato nelle prossime settimane. Molte migranti, vittime di ripetute violenze in Libia prima di imbarcarsi verso l’Europa, vengono contagiate. E, oltre al timore che la propria salute possa peggiorare, si teme per la gestazione e per l’allattamento del proprio piccolo.

La ricerca su 13 donne affette da Hiv

Non poter allattare i propri figli perché si pensa che si possa trasmettere il virus è estremamente drammatico; spesso la condizione di sieropositività non viene dichiarata per paura o se accade viene condivisa con pochissime persone. La pressione delle famiglie all’allattamento rende queste donne vulnerabili e vengono quasi costrette da questo senso del dovere imposto dalle madri di dare ai figli il proprio latte e non quello artificiale anche per terrore di infezioni. Secondo questa analisi condotta su 13 pazienti, chi allatta ed è sieropositiva – durante la cura con terapia anti retrovirale – non trasmette la malattia: 12 migranti e una palermitana sono state seguite nel reparto di Malattie infettive dell’ospedale Civico di Palermo. Tutte hanno avanzato la richiesta di voler allattare i loro bimbi e grazie alla terapia antiretrovirale ci si è accorti che tutti i bambini sono sani.

La potenza della terapia antiretrovirale

Il contagio da Hiv nei neonati può avvenire attraverso la placenta, durante il parto o durante l’allattamento. Numerosi studi hanno dimostrato che la terapia antiretrovirale seguita dalla gestante è fondamentale per prevenire nuove infezioni infantili. Durante la cura, la carica virale è pari a zero ed è grazie a questo studio osservazionale che è stato dimostrato anche come il rischio di trasmissione durante l’allattamento non ci sia“.

Destigmatizzazione del virus dell’Hiv

L’osservazione è stata portata avanti nel periodo marzo 2017-giugno 2021; le donne hanno dato il loro consenso alla raccolta di dati anonimi. Le 13 madri sono di età compresa tra i 18 e i 34 anni (età media 26 anni): molte di loro sono africane di Nigeria, Costa d’Avorio, Ghana, Mali, Camerun e Senegal. Il tempo trascorso in Italia è tra 6 e 72 mesi (tempo medio 17 mesi). A quattro delle 13 donne è stato diagnosticato l’Hiv durante le prime 10 settimane di gravidanza. Hanno dunque iniziato una terapia antiretrovirale per scongiurare qualsiasi trasmissione del virus. Il tempo di allattamento al seno è stato in media di 5 mesi con un intervallo di 6 settimane e solo in un caso è stato interrotto perché nel frattempo una delle pazienti aveva contratto il Covid-19. Ma comunque nessun bimbo è stato contagiato.

“Tutti i bambini sono sieronegativi”

Questo studio deve servire anche per sfatare una serie di pregiudizi sull’Aids – aggiunge Prestileo -. Abbiamo messo in piedi una terapia per le donne in gravidanza da una ventina d’anni. Nel nostro centro, dove abbiamo seguito migliaia di persone sieropositive, tutti i bambini nati sono sieronegativi. Nell’ultimo anno nella struttura sono stati 21 i casi accertati di Aids: 8 giovani omosessuali, 3 uomini tra i 55 e i 60 anni che non avevano mai avuto nessun sintomo e hanno affermato di non avere avuto rapporti a rischio. Altri dieci sono migranti di cui sette donne e tre uomini. Due dati non vanno sottaciuti: da quando è scoppiata la pandemia la richiesta di controlli nel nostro centro si è ridotta del 70%. Negli ultimi mesi ogni settimana riscontriamo 1 o 2 casi di sifilide“.

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