di Giulia Biscardi
PALERMO
Quest’anno ho svolto il mio secondo tirocinio a ItaStra. Ho scelto ItaStra per la seconda volta perché questo posto è magico. È qui che ho capito che strada avrei intrapreso nel mio futuro. Quando ho conosciuto ItaStra mi trovavo in un momento di grande confusione e paura, non avevo certezze per il futuro e neanche traiettorie, ma poi sono entrata nelle classi di ItaStra e ho capito che insegnare l’italiano agli stranieri era quello che avrei voluto fare nella vita.
Quando mi trovo a ItaStra provo un senso di piacere intenso che nasce dalla possibilità di vivere allo stesso tempo una sensazione di estraneità e di rispetto autentico di tante diversità. Spero di non risultare stucchevole usando queste parole, ma se le uso è perché non ne saprei trovare di più adatte.
Quest’anno il tirocinio per me è stato un po’ diverso rispetto alla prima esperienza. Questa volta non sono entrata nelle classi per osservare e affiancare docenti esperte, ma ho avuto un gruppo di due ragazze giovanissime, Tasmin e Rifat, che ho gestito da sola. Ho svolto una formazione sull’uso del manuale “Ponti di parole” dedicato a studenti a bassa scolarizzazione e poi sono stata seguita oltre che dal coordinatore tutor Marcello Amoruso, anche dalle mitiche professoresse della scuola Boccone Laura Di Benedetto e Alessia Dimaria, quest’ultima insegnante di Italiano delle due studentesse in una classe terza.
Tasmin e Rifat, entrambe del Bangladesh, hanno 14 anni ciascuna e quando le ho conosciute a novembre 2024 possedevano solo qualche parola italiana ed erano in grado di comprendere piccole espressioni d’uso frequente all’interno di una classe. Ho da subito cercato di instaurare con loro un rapporto quasi alla pari, di complicità e gioco. Abbiamo ascoltato tanta musica italiana, che abbiamo insieme trasformato in un’occasione di apprendimento e analisi della lingua italiana. Abbiamo ascoltato Jovanotti, La Rappresentante di Lista, ma le canzoni più apprezzate sono state quelle di Ghali. Non dimenticherò mai l’emozione sul volto di Tasmin quando ha scoperto che nella stessa canzone si cantava sia in arabo che in italiano. Pur non essendo la lingua di Tasmin e non parlandola autonomamente, l’arabo è una lingua del cuore, è la lingua della sua religione.
Può sembrare strano ma a me Tasmin ha insegnato tanto, mi ha dato tanto coraggio. Ho visto questa piccola ragazza, che a me sembrava grande, appena arrivata in un Paese straniero e con una lingua e una cultura molto distanti dalla sua, non essere spaventata neanche un po’ dall’impatto con la nuova realtà. Tasmin porta il velo per sua scelta e quando le viene chiesto il perché da persone poco rispettose, lei risponde con due pagine di elenco puntato, in cui spiega con quanto orgoglio porti il velo.
Tasmin studia tantissimo, è tutti i giorni impegnata in corsi di lingua o potenziamenti scolastici, perché vuole fare la dottoressa e non ha tempo da perdere. E io non ho mai conosciuto una ragazza più determinata di Tasmin. Lei ce la farà, ne sono certa.
L’ultimo giorno del mio tirocinio mi ha ringraziato per averla accompagnata, per un pezzettino, verso la realizzazione del suo sogno. La cosa che mi colpisce oggi e a cui ripenso con ironia è che per me è stata Tasmin ad avermi accompagnato per un po’ e ad avere riacceso i miei sogni.