PALERMO. Le è stata diagnosticata una malattia poco nota. E ha scelto di diventare coach per sostenere persone, come lei, a cui è stato diagnosticato un disturbo raro. Chiara Lo Coco è poco più che maggiorenne. Crede nella resilienza e nella filosofia che vi è all’interno dell’arte orientale del Kintsugi, cioè “l’arte di esaltare le ferite”. Così Chiara ha affrontato con determinazione le tante sfide quotidiane, tra alti e bassi, senza scoraggiarsi mai e cercando di costruire qualcosa che possa aiutare gli altri. Credendo nella visione del “noi società”. Da qui la scelta del coaching.
L’identità di Chiara: un’identità forte
Una vita caratterizzata da continui e repentini cambiamenti, la sua, ma non ha scoraggiato Chiara. Ragazza palermitana professionista del coach, anzi, con una forte capacità interiore di resilienza, ha costruito sull’accettazione del proprio sé un punto di forza, analizzando e studiando se stessa e lottando giorno dopo giorno in una visione del “noi inclusivo”. “Sono una persona disabile e autistica con varie malattie rare croniche, genetiche – riferisce Chiara –. Sono una persona multipotenziale e una professionista del coaching che segue gli elevati standard dell’International Coach Federation”.
La ragazza tiene a ricordare come l’identificarsi con tali terminologie è per lei rilevante per contrastare la stereotipazione negativa che ne deriva dalla società contemporanea: “Questi termini hanno avuto spesso un significato un po’ brutto, come se dire disabile o autistico fosse una parolaccia, per me non lo sono perché rappresentano la mia realtà – confida Chiara -. Ecco perché lo dico all’interno della presentazione del mio io, perché questo fa parte della mia identità”.
Conflittualità contro il proprio status psicofisico o conciliazione in una ottica resiliente? In questo bivio in cui ci si può ritrovare dinanzi agli ostacoli fisici e della società, Chiara si avvale della filosofia che vi è all’interno dell’arte orientale del Kintsugi che “rimargina” le ferite rivestendole in un colore dorato: “Anziché lottare contro le mie malattie, le mie disabilità, io cerco di farci pace come nell’arte del Kintsugi – dichiara con tenacia Chiara –, cioè rivestire le ferite d’oro, rivestire le crepe d’oro e io sto facendo questo con le mie malattie, che purtroppo essendo rare sono di difficile comprensione. Ma attraverso il mio impegno da paziente-attivista sto cercando di dare il massimo con l’obiettivo di far conoscere queste condizioni e in qualche modo conoscermi anche io meglio. La chiave sta nell’ascoltarmi e imparare ad ascoltare il mio corpo e il mio cervello – aggiunge –. Perché mi identifico come una persona multipotenziale? Perché ho tante potenzialità, ho tanti ambiti di interesse che nel mio caso specifico. Essendo una persona autistica, sono interessi assorbenti, mi piacciono tante cose e interessano tante cose”.
L’amore e la sua forza sono un supporto non secondario nella vita di Chiara: “Il supporto non mi è mai mancato – riferisce -, in particolare dal mio compagno di vita, Giuseppe, mia sorella, il dottore Mandalà che è stato il primo fisiatra che ha fatto la diagnosi funzionale di Ehlers-Danlos, e Gloria, la mia migliore amica”.
Il percorso scolastico di Chiara
Chiara ha da poco concluso con successo i suoi studi al liceo linguistico Ninni Cassarà di Palermo e ricostruisce come, nonostante le tante avversità patite a livello fisico per la sua disabilità, abbia ricevuto l’affetto e il sostegno da parte dei docenti e della preside: “Ho studiato al liceo Ninni Cassarà di Palermo e al terzo anno di liceo smisi di andare a scuola in presenza a causa delle mie problematiche fisiche di salute – racconta -. Ero ancora nella fase di un percorso diagnostico ignoto, come lo sono ora d’altronde, solo che ora almeno una diagnosi l’ho. Devo ringraziare la mia scuola, la preside, le mie insegnanti per aver creduto in me”, aggiunge Chiara sorridendo e ricordando come il suo lockdown personale avvenne due anni prima della stessa pandemia.
“Il mio lockdown è iniziato prima perché la mia malattia, l’Ehlers-Danlos, è una malattia rara che era invisibile all’inizio. Significa che potevo camminare, essere autonoma non facendo vedere il dolore, poi con il tempo come tutte le cose evolutive, più cerchi di nasconderle, più vengono a galla e forzandomi iniziai ad aver bisogno della sedia a rotelle con conseguenze nella mia vita quotidiana”.
L’impatto della pandemia sulla vita di Chiara
Come le persone con disabilità e i loro familiari hanno vissuto la diffusione della pandemia, momento particolarmente delicato per persone vulnerabili a livello di salute psicofisico: “La pandemia l’ho vissuta con ansia e con la paura di non poter rientrare nelle categorie dei soggetti fragili – ricorda Chiara -. Ancora oggi pur avendo la diagnosi ufficiale di Ehlers-Danlos, questa non è tipizzata. Quindi non si è individuato il gene. Dunque, avevo paura di non essere considerato soggetto fragile“.
Sebbene la pandemia abbia fortemente influito nella vita quotidiana di Chiara, le ha dato anche la possibilità di rimodulare la sua vita tra gli studi in DAD e la scoperta delle potenzialità del coaching: “La pandemia mi ha permesso di fare andare un po’ il mondo a ritmo mio, potevo finalmente seguire le lezioni con la DAD e potevo trovare un mestiere da poter fare da casa”, riferisce Chiara, ribadendo come la sua situazione fisica in continuo divenire abbia fatto infrangere uno dei suoi sogni nel cassetto, cioè di diventare un medico. “Il mio sogno da più piccola era quello di fare il medico per salvare vite umane, per curarle, ma le cose si sono messe insieme per far sì che io non avessi l’energia fisica e mentale per fare un percorso di studio di medicina, ma nonostante ciò la pandemia ha favorito la mia conoscenza del mondo del coaching. Così ho capito che potevo aiutare le persone in un altro modo. Posso aiutarle a ridefinire il loro significato di successo, di benessere e di soddisfazione e accompagnarle nel raggiungimento dei loro obiettivi nella gestione del cambiamento. Non è la nostra volontà a comandare tutto. La nostra libertà risiede nello scegliere e nel direzionare consapevolmente le nostre energie verso una determinata direzione”.
Nel proseguire il racconto del suo percorso di formazione nel mondo del coaching, Chiara mette in risalto una sua sfida personale, dare la possibilità anche alle persone con disabilità di poter fruire del coaching: “Mi sono formata prima con Success Unlimited Newtwork e succesivamente con Epicoaching Academy che sono accreditate dalla International Coach Federatio. Con l’ultima, in particolare, sto costruendo la mia idea di coaching ovvero di utilizzare il Coaching come strumento per la gestione dei cambiamenti per emergere nella vita contemporanea – riferisce Chiara -. Voglio dare a tutti la possibilità, in particolare alla mia comunità, di ritrovare la propria definizione di stabilità. È un amore, una passione, un qualcosa di enormemente grande, imparandoo ad aiutare me sto imparando ad aiutare gli altri”.
Gli hobby e i progetti futuri di Chiara
Una forte sognatrice Chiara che, nonostante tutto, tramite la sua multipotenzialità ha cercato di coltivare i suoi hobby e le sue passioni: “Essendo una persona multipotenziale e autistica, tutto ciò che mi interessa diventa interesse assorbente, ovvero mi consuma tutte le energie – riferisce Chiara –. L’amore per la medicina non è mai sparito, in particolare per le neuroscienze. Mi piace molto la danza e il canto. La danza non posso praticarla facilmente e nel 2020 nella Giornata delle persone disabili avevo fatto parte di una campagna dal titolo Dance and Disability, promossa da Mete Onlus. Ritornare a danzare è stato qualcosa di celestiale così come il canto mi fa sentire viva. Mi interesso anche della meditazione e in particolare degli insegnamenti del buddismo tibetano”.
Tanti i progetti in cantiere che saranno presentati a sorpresa per migliorare la vita agli altri e di regalare sorrisi. Chiara preferisce non spoilerare ma rivela alcuni aspetti salienti sui quali verteranno i suoi progetti futuri: “Non voglio fare spoiler perché sto costruendo la mia strategia di comunicazione sui progetti. Come progetto a medio-lungo termine c’è quello di voler costruire una community internazionale, una rete di persone centrata sulle persone neurodivergenti e sulle persone disabili. Quindi, una community che graviti su di esse ma anche sulle altre realtà perché voglio un’alleanza. Voglio vedere un mondo predisposto a validare l’altro e se stesso, tramite il coaching lo si può fare. Vorrei costruire un ponte – conclude – oltre che con la società anche tra medico-paziente, perché là, nell’ambito nella cura, avere una alleanza e una comunicazione efficace penso che sia la base non tanto per guarire quanto per migliorare la qualità della vita dei paziente, ma anche dei medici e dei professionisti che si mettono a disposizione e dedicano la loro vita per salvare e migliorare quella dei pazienti”.