TRAPPETO (PA). Una ragazza intraprendente dalle forti radici mediterranee che con dedizione porta avanti il suo impegno nel fare attività di rilevanza sociale nel territorio. È questa la storia di Emna Miled, operatrice del terzo settore, che ci racconta il suo impegno e i suoi traguardi ancora da realizzare. “Sono nata a Tunisi – racconta -, città in cui ho vissuto fino all’età di circa otto anni. Sebbene abbia avuto delle fasi alterne in cui facevo da spola con la mia famiglia tra la Tunisia e la Sicilia. Il ricordo più bello della Tunisia è qualcosa che coinvolge la ‘memoria olfattiva’. Sì, perché quando penso a questo meraviglioso paese, ricordo il profumo, caratterizzato da un misto di spezie e gelsomini. Ogni volta che torno a Tunisi ritrovo forte quel profumo, che in un attimo mi avvolge e mi riporta indietro nel tempo, facendo emergere i ricordi della mia infanzia“.
Parliamo adesso dell’Islamofobia, nel corso del tuo percorso di permanenza in Sicilia, ti è capitato di vivere qualche episodio particolare che ci vorresti raccontare?
Sì, mi è capitato. In particolare, mi ricordo che quando frequentavo la scuola media vi erano alcuni ragazzini che mi inseguivano additandomi e rivolgendosi a me con termini denigratori legati alla religione. Credo che l’educazione al rispetto parta soprattutto dagli adulti che devono avere maggiore cura nel fare un lavoro di sensibilità per attrezzare i ragazzi e le ragazze con gli strumenti utili al dialogo e al rispetto delle persone che hanno storie diverse, culture e credi diversi.
Tra le tante esperienze formative, quella del “doppio titolo” tra Tunisi e Palermo e il Servizio Volontario Europeo (SVE), cosa ti hanno dato queste due esperienze?
Gli anni della specialistica sono stati molto interessanti, perché ho avuto la possibilità di trascorrere un periodo a Tunisi, alla riscoperta delle mie origini, considerato che per molto tempo non avevo avuto occasione di tornare in Tunisia. L’esperienza dell’European Voluntary Service mi ha permesso di avvicinarmi al lavoro a cui puntavo, ed è stata un’occasione che mi ha consentito di acquisire e rafforzare quelle competenze trasversali che in seguito mi sono state molto utili in termini di esperienza lavorativa e non solo. Lo SVE mi ha permesso di trascorrere del tempo in un Paese in cui non ero mai stata (la Grecia), con la possibilità di operare in un ambiente multiculturale e di conoscere posti nuovi e creare nuove connessioni.
Uno dei temi di attualità per i soggetti con background migratorio è rappresentato dalla tematica del riconoscimento della cittadinanza italiana, quali sono gli ostacoli che hai vissuto nel tuo quotidiano?
Le criticità incontrate principalmente sono state legate al reddito, anche perché pur avendo il requisito della lunga residenza in Italia, finché ero studentessa o lavoratrice “precaria” mi mancava il requisito reddituale per accedere all’iter della cittadinanza per residenza. Questi “ostacoli” non hanno avuto solo un’influenza a livello di stress emotivo, ma anche delle conseguenze in alcuni casi importanti: ad esempio durante lo SVE in Grecia ho avuto dei problemi burocratici, in termini di permanenza nel Paese, perché ero in fase di rinnovo di permesso di soggiorno. Ecco, già da qui nascono le differenze e le barriere che ci sono per alcune categorie di persone anche solo in termini di spostamento all’interno dell’area Schengen.
Cosa vorresti fare in futuro?
Negli ultimi 5 anni sono entrata nel mondo del terzo settore, e ho avuto modo di fare esperienza in termini di coinvolgimento in progetti che affrontano importanti tematiche quali il contrasto alla dispersione scolastica e alla povertà educativa nel territorio. Uno dei miei sogni è quello di avere in Italia un più facile accesso alla cittadinanza, considerato che molti ragazzi e ragazze che si trovano a vivere qui da molti anni e a frequentare le scuole del Paese, a lavorare, pagare le tasse, e a contribuire alla crescita della comunità, possano sentirsi davvero parte di quest’ultima.