PALERMO – “Fiore nel deserto” ovvero Waris in Swahili è il nome della bimba più piccola di 8 mesi di Marco Frasca e Silvia Rabotti, originari di Colfelice, piccolo comune del Lazio. Loro, poco più che trentenni, da quattro mesi, hanno deciso di trasferirsi dentro la missione della “Bishop Mazzoldi School” delle Evangelizing Sisters of Mary. Marco è un ostetrico e Silvia è un cardiochirurgo; prestano il loro servizio dentro il Fatima Hospital della missione a Ongata Rongai, vicino a Nairobi. Con loro sono partite Maria di 9 anni e Waris di 8 mesi.
Da quando vi siete trasferiti in Kenya?
Viviamo dentro la missione da fine febbraio di quest’anno. Lavoriamo con le sisters nella gestione sanitaria del Fatima Hospital. Abbiamo fondato, pure, l’associazione We’re all Africa che porta avanti progetti a sostegno di orfanotrofi e ospedali in Kenya.
Come siete arrivati a fare questa scelta di vita?
E’ stata una decisione maturata nel tempo. In questi anni ci siamo recati in Kenya per aiutare le persone più bisognose. Nel 2009, decidemmo, per la prima volta, di partire per una esperienza di volontariato in un orfanotrofio. Non sapevamo che l’Africa sarebbe entrata nel nostro cuore per sempre. Oggi, le nostre giornate sono molto piene ma la cosa bella è che ci sentiamo a “casa”. In molti ci hanno detto che è una scelta coraggiosa o incosciente quella di trasferirsi con due bambine, rinunciando alla vita italiana. Per noi, è stato il coronamento di un sogno iniziato quando eravamo ancora studenti universitari. Abbiamo capito che non bastava il sostegno e l’aiuto una volta l’anno ma occorreva dare maggiore continuità ai progetti. Quando le suore, prendendo la gestione dell’ospedale, ci hanno condiviso le loro difficoltà chiedendoci aiuto, abbiamo iniziato a pensare ad un trasferimento definitivo.
Quando è nata la collaborazione con la missione delle sisters?
Le suore sono operatrici missionarie di strada che fanno un servizio di comunità nelle baraccopoli e nelle aree povere di Kenya, Uganda e Tanzania. Nel 2011, abbiamo conosciuto suor Colomba che era ostetrica e infermiera nel piccolo ospedale di Gilgil, in Kenya. Facevamo con lei le cliniche mobili in aiuto di tantissime persone. Dalla partnership, nata nel 2022, con la congregazione delle suore, è iniziato il nostro impegno al Fatima Hospital. Questa struttura rappresenta un importante presidio sanitario per la popolazione locale più povera. Sono presenti un pronto soccorso, un laboratorio di analisi, una farmacia, un ambulatorio e un reparto di ostetricia dotato di sala parto e sala operatoria.
Quando vi siete sposati?
Ci siamo sposati in Italia nel 2015. La sfida grande è stata il momento in cui saremmo riusciti ad avere, un progetto stabile e una somma economica che ci permettesse di sostenere il trasferimento in Africa. Maria, che è nata nel 2014, già a sette anni è stata con noi in Kenya. Waris, in italiano Fiore del Deserto, ha 8 mesi ed è nata in un momento in cui sapevamo già che ci saremmo trasferiti in Africa.
Quali sono i problemi principali di Ongata Rongai?
Molti vivono una condizione di miseria che è ben diversa dalla povertà italiana. La situazione sociale è molto drammatica per la presenza di criminalità, prostituzione, droga e violenza. Grazie al team di sister Mary che si reca negli Slums per i progetti educativi, riusciamo a rispondere ai principali bisogni sanitari, instaurando un rapporto di fiducia. Il progetto educativo della missione aiuta circa 800 bambini di Slums e Ongata Rongai. Il team di sister Mary, inoltre, promuove l’autonomia delle donne con il microcredito, la sartoria sociale e i corsi professionali.
Com’è organizzato l’ospedale?
Nel Fatima Hospital abbiamo 60 accessi al giorno come pronto soccorso. Ci sono 20 posti letto di maternità; si effettuano circa 600 parti all’anno. Abbiamo pure 9 posti letto maschili in medicina generale. Le tariffe sono basse ma non tutti possono permetterselo. Per chi vive negli Slums andiamo noi con la clinica mobile dove forniamo assistenza gratuita di base, tramite la nostra associazione. Se necessitano del ricovero copriamo noi i costi. Il desiderio è quello di ampliare l’assistenza a più persone possibili. In Kenya chi non può pagarsi le cure muore.
Con il progetto delle sister aiutate anche un villaggio Masai?
Sì, anche se non è facile perchè vivono molto radicati alle loro tradizioni. Interagiamo con le donne, in punta di piedi e rispettandole, per migliorare la loro salute. Grazie al progetto di sister Mary – che ha creato cisterne per la raccolta idrica e promozione dell’artigianato – anche noi siamo riusciti a fornire assistenza sanitaria di base.
Qual’ è il vostro desiderio?
Vogliamo contribuire al miglioramento dei servizi per il territorio. Desideriamo che l’ospedale possa crescere sempre di più. Se c’è volontà e impegno tutto è possibile. Il modo di aiutare può essere diretto ma anche indiretto, promuovendo il supporto a distanza. Dalla popolazione africana impariamo sempre tantissimo: vivono emozioni molto intense e, anche nelle peggiori situazioni, riescono sempre ad affrontare tutto con il sorriso, la speranza e una grande gratitudine.